di Victor Hugo Del Grande
Oggi la nostalgia si è presentata nuovamente, come sempre fa, da che la mia vita si riflette come in uno specchio dall’altra parte dell’oceano. Nascosta tra la nebbia e il sole di queste campagne pavesi, sta bussando alla mia porta. E io che, tranquillamente, stavo per accingermi a scrivere sul tango, come tutte le domeniche, ho sentito il suo profumo, come quello delle mani di mio nonno, di giornale fresco e mattoni, come quello di mia mamma, grembiule macchiato di sugo e amore. Lontano, nella nebbia, vedo mio padre che ascolta un tango di Discepolo alla radio e io, bambino, che intuivo l’arrivo a casa di questo ospite che fino ad oggi mi accompagna, “il tango”. Con tutto l’amore che sento per le mie due terre ripropongo questa riflessione.
ITALIANI
Zenone Del Grande nacque a Montenero di Bisaccia in Molise nel 1900, da una famiglia numerosa con parecchi fratelli, dovette arrangiarsi da piccolo facendo lavoretti saltuari e cominciò presto a simpatizzare per il socialismo. Faceva teatro di strada con amici e compagni.
Fece il militare due anni, poco prima del congedo scoppiò la guerra del ‘15-‘18. La fece tutta. Di quella brutta esperienza gli rimase in corpo una pallottola di piombo che lo accompagnò per il resto dei suoi giorni.
Durante i combattimenti seppe che suo fratello Nando era sul fronte, non molto distante da dove si trovava. Chiese un permesso e camminò due giorni e due notti tra le campagne per andare ad abbracciarlo.

Finita la guerra tornò a Montenero, ritrovò la sua fidanzata Vitalina figlia del gioielliere del paese. Sembrava che la vita riprendesse il suo corso naturale, ma arrivò il fascismo. Zenone, militante socialista, ricevette la soffiata di una imminente rappresaglia . In piena notte scappò di casa insieme alla sua fidanzata. Poche cose, qualche abbraccio e tante lacrime, partirono e presero una nave. Destinazione “Argentina”.
Arrivarono nell’America del Sud negli anni Venti. Come tutti gli immigrati trovarono una sistemazione di fortuna, quasi sempre il “conventillo”. Loro scelsero la città portuale di Rosario, per vivere.
Comunicavano con l’Italia tramite lettere che ci mettevano mesi ad arrivare. Zenone si guadagnava da vivere facendo il muratore e Vitalina i mestieri di casa. Nell’anno 1926 nacque Hugo e fu l’unico figlio che ebbero.
Ho un ricordo impresso in me , una scena che mi basta richiamare per vederla e rivederla davanti ai miei occhi.
Quando avevo tre o quattro anni come tutte le mattine giravo sul mio triciclo nel piccolo patio di casa. In un angolo, seduto sulla sua sedia, mio nonno Zenone religiosamente leggeva il giornale. Mia nonna e mia madre indaffarate con i mestieri di casa. Mio fratello più grande di me, in giro con i suoi amici e mio padre al lavoro.
Eravamo soli come sempre, lui ed io nel patio. Giravo spensierato sul triciclo, il mio sguardo andò sulla sedia, il giornale iniziò a scivolare piano dalle sue mani e poco dopo scivolò anche lui. La sua anima come vapore lasciò il corpo come fosse un vestito vecchio. Poco dopo sorvolava le colline di Montenero di Bisaccia indicandomi la strada di ritorno verso casa.
Un giorno, molti anni dopo, feci il mio passaporto, una valigia con poche cose e seguì il cammino che lui mi aveva mostrato.
Tornando a Hugo, mio padre, come tutti i bambini dell’epoca crebbe in una Argentina in pieno fervore culturale, un Paese che cresceva velocemente arricchito con l’arrivo di gente da tutta l’Europa in cerca di un futuro .
Crebbe giocando a pallone per strada con bambini figli di siciliani, napoletani, lombardi, piemontesi, polacchi, spagnoli e tedeschi, sentendo parlare tantissime lingue diverse, tra i profumi di pietanze di ogni parte del mondo.
Come lui tanti altri bambini in Buenos Aires, Rosario, Montevideo, crescevano studiando musica, giocando a pallone e sentendo le storie che gli raccontavano i loro genitori.
Come lui, la maggior parte erano figli d’italiani, che sentivano scorrere nel sangue un’eredità culturale secolare, ma che amavano profondamente anche la terra dove erano nati e unendo la sensibilità al talento diedero origine a una cultura universale che oggi è capace di trasmettere emozioni ad una persona di Tokio come ad una di Atene, di Sidney o di Kiev.
Un lungo elenco di protagonisti del Tango di origine italiana:
JUAN D’ARIENZO: violinista, direttore d’orchestra, detto “El rey del compas”;
CARLOS DI SARLI: pianista, compositore e direttore d’orchestra, detto “il signore del tango”;
OSVALDO PUGLIESE: pianista, compositore e direttore d’orchestra. Fu uno dei primi a suonare il tango nel tempio sacro della lirica di Buenos Aires, il teatro “Colon”;
ANIBAL “pichuco” TROILO: bandoneonista, compositore e direttore d’orchestra, detto “Il bandoneon di Buenos Aires”;
FRANCISCO CANARO: compositore e direttore d’orchestra, detto “pirincho”. Fondatore di S.A.D.A.I.C. ( la S.i.a.e. argentina);
JULIO DE CARO: violinista, compositore e direttore, a lui il tango deve la forma musicale scolastica di scrivere e arrangiare che tutti i suoi colleghi poi adottarono;
ENRIQUE SANTOS DISCEPOLO : attore, autore, saltimbanco, genio e poeta. Uno dei personaggi più emozionante a creare il tango;
HOMERO MANZI ( MANZIONE): il poeta colto e raffinato del tango, basterebbe citare alcune delle sue opere per capire che fu uno dei più grandi
PEDRO MAFFIA : bandoneonista virtuoso, creatore assieme a Sebatian Piana del ritmo di milonga portegna;
JUAN “Pacho” MAGLIO, ALFERDO GOBBI, ROBERTO FIRPO, ASTOR PIAZZOLLA, RODOLFO BIAGI, PASCUAL CONTURSI, ALBERTO MORAN, ALBERTO MARINO, IGNACIO CORSINI..
GRAZIE ITALIA!
Victor Ugo Del Grande